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A pagare per “Mafia Capitale” saranno i detenuti

carceriIl ministero della Giustizia sospenderà la sperimentazione lavorativa delle cooperative in dieci carceri italiani. Una scelta letta come conseguente all’inchiesta romana sulle cooperative. Una marcia indietro che sarebbe deleteria non solo per i detenuti e i percorsi sperimentali di anni, ma anche per le casse dello Stato e la qualità della vita nelle case di reclusione

«Se un commercialista sbaglia non si persegue l’intera categoria. Lo stesso vale per qualunque altra professione. Invece con le cooperative sociali, dopo “Mafia Capitale”, si pè deciso di farla pagare all’intero settore. In particolare a chi, come noi, lavora da anni in carcere». A parlare è Nicola Boscoletto, responsabile della cooperativa Giotto, che insegna un mestiere ai detenuti del carcere di Padova.

Ed in effetti quello che sta succedendo dopo l’esplosione del caso Buzzi delle cooperativa “29 giugno” a Roma è che insieme all’acqua sporca si getti via anche il bambino. Il ministero della Giustizia, in 10 carceri dove cooperative sociali sperimentano da anni la gestione delle cucine, dice basta per mancanze di fondi.

La storia
Nel 2003 il Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, avvia una sperimentazione in dieci penitenziari in tutto il Paese, da Torino a Bollate, da Padova a Rebibbia nuovo complesso e casa di reclusione fino a Trani e Siracusa. Con il finanziamento del Dap si ristrutturano a fondo gli impianti delle cucine e si affida la gestione a cooperative sociali che devono formare professionalmente i detenuti. Che significa lunghi periodi di formazione, affiancamento a professionisti, gestione con criteri di efficienza, adeguamento agli standard di qualità e sicurezza, fino all’inserimento dei detenuti in articolo 21 e misure alternative alla detenzione. E stipendi altrettanto veri, allineati al contratto collettivo nazionale.

La sperimentazione
La sperimentazione prende il via nel 2004. Dal 2009 il finanziamento non viene più erogato direttamente dal Dap, ma dalla Cassa delle Ammende, l’ente del Ministero della Giustizia che finanzia i programmi di reinserimento in favore di detenuti. Risultati? La gestione d’impresa si nota, eccome. La qualità dei pasti decolla. Il ricorso al cosiddetto sopravvitto, i generi che i detenuti possono acquistare con il proprio denaro, si abbatte. Anche il Dap è soddisfatto. L’ex capo del dipartimento Giovanni Tamburino il 17 marzo 2014 dopo un incontro con i direttori delle dieci carceri dichiara: «Bisogna confrontarsi con l’oggettività che danno i direttori, che vedono le cose concrete, pratiche, quotidiane. Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, anzi si va avanti». Con l’esplicito intento di passare dalla fase sperimentale a una strutturale e di diffondere l’iniziativa anche in altri istituti.

La marcia indietro
Nel frattempo Tamburino con il cambio di governo decade dall’incarico. E nonostante i solleciti delle cooperative e dei direttori a rinnovare l’affidamento del servizio che scade a fine 2014, da via Arenula giunge solo un assordante silenzio. Le cooperative scrivono due lettere, a luglio e ottobre, al ministro Orlando per discutere la questione. Nessun riscontro. Fino a questi giorni. Come risposta, una proroga di quindici giorni, fino a metà gennaio, che non lascia presagire nulla di buono.

Secondo quanto scrive Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere, è «lo scandalo delle coop sociali di Roma fatto pagare ai detenuti che lavorano». In effetti la prefigurata cessazione dell’affidamento è qualcosa di ben poco razionale. Come scrivono i direttori in una lettera al Dap del 28 luglio scorso, le cooperative hanno fatto risparmiare in termini di manutenzione delle strutture, di acquisto di prodotti, utenze, mercedi (le paghe dei detenuti), spese di mantenimento. Ma il guadagno sostanziale «è in termini trattamentali». «I detenuti assunti dalle cooperative», scrivono i direttori, «hanno avuto modo di sperimentare rapporti lavorativi “veri” che li hanno portati ad acquisire competenze e professionalità decisive per il loro reinserimento sociale». Non solo. Sul mercato la manodopera vale circa 3,60 euro, mentre le coop sociali ricevono dallo Stato meno di 2 euro tra gettone e sgravi fiscali. Quindi per le casse statali questa marcia indietro che non conviene.

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