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Disonestà, un problema (anche) di ormoni

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Elevati livelli di testosterone e cortisolo sono predittivi di comportamenti immorali

I risultati dia ricerca congiunta tra l’università di Harvard e quella del Texas (Austin)

La disonestà mina la coesione sociale e il raggiungimento di obiettivi utili alla collettività, tutto per il tornaconto di un singolo individuo o di un ristretto gruppo di persone. Eppure la disonestà rappresenta una caratteristica trasversale del comportamento umano, e le sue radici sono indagate in modo sempre più approfonditamente da schieri di brillanti economisti. Uno di loro – Dan Ariely – ha tracciato su greenreport un interessante quadro comportamentale sul perché diciamo bugie, anche a noi stessi; adesso però un team di ricerca congiunto tra l’università di Harvard e quella del Texas (Austin) ha prodotto nuove e interessanti scoperte sui marcatori biologici della disonestà.

La ricerca Hormones and ethics: Understanding the biological basis of unethical conduct – cui ha partecipato anche Francesca Gino, economista italiana ad Harvard –, si sviluppa attorno a un approccio sperimentale. I ricercatori hanno chiesto a 117 partecipanti di compilare un test di matematica, di auto-valutarlo e di segnalare il numero di problemi correttamente risolti. A un numero più alto di soluzioni sarebbe corrisposto un compenso in denaro maggiore. Prima e dopo il test, ogni volontario è stato sottoposto al prelievo di un campione di saliva, e da successive analisi i ricercatori hanno scoperto che le persone con elevati livelli di testosterone e cortisolo sono state le più propense a barare sul numero di problemi risolti correttamente.

«Livelli elevati di testosterone attenuano la paura della punizione, e aumentano la sensibilità alla ricompensa – ha spiegato Robert Josephs, psicologo dell’università del Texas – e il cortisolo è legato a uno stato di stress che può essere fonte di profondo disagio; il testosterone fornisce il coraggio di imbrogliare, e il cortisolo fornisce una ragione».

Secondo i risultati raccolti dai ricercatori endocrino svolge infatti un duplice ruolo per quanto riguarda il compimento di atti immorali. Elevati livelli di testosterone e cortisolo sono elementi predittivi della disonestà, e la loro variazione durante l’atto disonesto rinforza questo comportamento: dopo aver imbrogliato, i volontari dell’esperimento mostravano livelli più bassi di cortisolo e stress emotivo, come se barare avesse dato loro una sorta di sollievo dallo stress. Una “ricompensa” che non fa che rendere più appetibile un nuovo approccio alla disonestà.

Tali reazioni fisiologiche spiegano perché gli approcci per limitare la disonestà basati sui richiami a etica e moralità, come alle minacce e punizioni, non siano sufficienti. «Con la comprensione del meccanismo alla base della frode, potremmo essere in grado di progettare nuovi e più efficaci interventi», chiosa  Josephs. Dato che livelli più bassi di testosterone e cortisolo solo collegati a una minore propensione alla disonestà, è possibile prenderne atto e agire di conseguenza. Privilegiare le ricompense individuali alle collettive, suggerisce la ricerca, riduce l’influenza del testosterone; promuovere pratiche anti-stress come meditazione ed esercizio fisico significa invece agire sul cortisolo.

Si tratta forse di un approccio singolare ma low cost e scientificamente fondato, che varrebbe la pena di approfondire – certo non in via esclusiva. A livello globale, ricordano i ricercatori, la disonestà risulta in forte aumento negli ultimi 10 anni, e le stime attuali parlano di 3,7 mila miliardi di dollari l’anno di perdite finanziarie legate alla frode. Per l’Italia, la stima dei 60 miliardi di euro all’anno di perdite legate alla corruzione si è rivelata una bufala, ma anche la testimonianza di quanto poco sia sviluppato nel nostro Paese l’analisi scientifica per combattere la disonestà. Eppure, anche senza dati certi cui poter fare affidamento, a occhio e croce si tratta di un problema che riguarda il nostro Paese molto da vicino.

Luca Aterini

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